domenica 26 novembre 2023

Canada - Broken Heart

 


Grazie Massimo.
Grazie a te ed alle tue parole per avermi restituito un poco di gioventù, grazie per avermi fatto rivivere quei giorni che non dimenticherò mai, ma soprattutto grazie per aver accettato questa piccola chiacchierata anche se in via telematica.
È davvero con un pizzico di emozione e di soddisfazione che mi accingo a presentare quest'intervista intercorsa fra il sottoscritto ed il buon Massimo Cillo, bassista nonché membro fondatore dei grandiosi Canada, anche perché, chi mi conosce bene, sa quanto quella band abbia rappresentato, è rappresenti tutt’ora, per il sottoscritto, un sentimento di totale ammirazione, e di viscerale ed incondizionata devozione artistica, nato nella prima metà degli anni ottanta, per merito soprattutto delle ottime qualità espresse dai nostri sulle tre demo  rilasciata nel corso della loro soffertissma carriera discografica, e che si è solidificato in questi anni di ascolti grazie all'ascolto di brani della portata di "Valerie", Never Surrender" o "Goodbye Patricia", splendidi affreschi di arte contemporanea che avrebbero meritato sicuramente più fortuna di quanta non ne ebbero allora, nonché un’attenta rivalutazione da parte delle nuove generazione di rockers nostrani, non solo in prospettiva dell’ultimo revival di band appartenute ad un passato poi non tanto remoto.<br>
Un’intervista che, negli anni, ho cercato sempre con maggior insistenza, non solo per un mio semplice appagamento personale, ma soprattutto per poter finalmente fare luce su alcuni lati oscuri che ruotavano attorno alla band, soprattutto per quel che concerne lo split immaturo che aveva lasciato l’amaro in bocca a più di qualche persona. <br>
Potremmo stare ore ed ore a parlare dei perché e dei per come senza tuttavia arrivare a risultati logici, lascio dunque con piacere la parola al mio interlocutore che ci aiuterà a capire qualcosa di più all’universo che girava attorno ai Canada, quindi mi raccomando, allacciate bene le cinture che si parte per un viaggio a ritroso nel tempo, destinazione Rimini fine anni ottanta, meno tre, due, uno…..

Ciao Massimo, allora la prima domanda che mi preme porti è: ma che fine ha fatto, lo sai che erano anni che ero alla tua ricerca?
Ciao Beppe!!!!! In realtà non mi sono mai mosso da Rimini, la città in cui vivo dal 1972. <br>
Mi fa molto sorridere l'idea che qualcuno possa aver passato degli anni a cercarmi perché fan dei CANADA e appassionato della musica che ho scritto negli anni 80. <br>
Sono passati 20 anni dallo scioglimento del gruppo e ben 26 dalla sua fondazione...praticamente un'eternità e ora vengo contattato da un vero appassionato per un'intervista. <br>
Da non credere!

Si, naturalmente nei miei ricordi di adolescente, il tuo nome è legato a doppio filo con quello dei Canada, cosa ricordi di quella band e di quell'esperienza?
Ricordo praticamente tutto.
Era il 1983 ma l'idea di un trio rock ce l'avevo in testa già dal 1979. <br>
Consumavo letteralmente i dischi dei Cream, di Emerson Lake & Palmer e dei Police, tutte formazioni composte da tre elementi con il bassista cantante.
La folgorazione la ebbi, però, nel 1981.
Un amico mi portò dal Belgio l'album 'Moving Pictures' dei Rush e in quel momento capii chiaramente cosa avrei voluto realizzare musicalmente.
Il problema era che suonavo in un gruppo jazz-rock e che non conoscevo nessuno disposto a seguire il mio sogno. <br>
Conobbi Marco Casadei, il batterista, un paio di anni dopo e, nell'impossibilità di trovare un chitarrista, completai il trio con un tastierista, riservandomi il ruolo di bassista, chitarrista, cantante e compositore. <br>
Suonavo anche dei bass pedals della Viscount...non avevo idea di dove andare a trovare una Moog Taurus originale!
In ogni caso...il primo anno passò tra la composizione di un repertorio originale, la registrazione di alcuni demo-tapes e le prime esibizioni dal vivo.
Le sonorità erano più simili a quelle dei gruppi della new-wave del progressive inglese, Marillion, IQ, Pendragon, Pallas, ma ci divertivamo tantissimo.
Unica pecca: come cantante facevo veramente schifo e anche i nostri demo erano piuttosto rozzi.
Entrai in contatto con il chitarrista dei Pendragon, e gli proposi di andare in tour insieme: in pratica noi avremmo fatto delle date in Inghilterra ospiti loro, e i Pendragon avrebbero approfittato della nostra ospitalità per esibirsi in Italia.
L'idea venne accolta molto bene dagli inglesi...solo che sparirono nel nulla dopo aver ascoltato il materiale audio che avevo spedito loro per farci conoscere!
Devono esserne rimasti veramente disgustati!
Come dicevo, passò un anno prima di trovare il primo chitarrista, cosa che portò anche un cambio stilistico evidente con un relativo indurimento delle sonorità e il ruolo di tastierista che passava nelle mie mani.
Finalmente cominciavo a sentirmi un vero clone di Geddy Lee che, nel frattempo, era diventato il mio unico musicista di riferimento.
I CANADA durarono più o meno l'arco di sette anni, tra mille difficoltà, continui cambi di chitarrista, soddisfazioni e delusioni ma sono stati il mio sogno più grande e la mia più grande fonte di gioia e ricordi.

Prima di formare il gruppo, qualcuno di voi suonava con altre formazioni o cover band?
Come dicevo io suonavo il basso in una band jazz-rock composta da musicisti tutti più adulti di me. Erano dei veri fanatici di Pino Daniele, tanto che il cantante, di origini abruzzesi, andava raccontando in giro di essere napoletano e diretto discendente di Totò.
Marco Casadei era veramente un esordiente per quanto già bravissimo, e il primo chitarrista, Luca Villani, era un altro appassionato di musica fusion con esperienze precedenti in formazioni più simili a Yellow Jackets e Spyro Gyra che a Triumph e Rush.
Io ero l'unico vero appassionato di rock progressivo e Aor americano.
Passavo ore e ore ad ascoltare i dischi dei Genesis, Uk, Yes, Marillion, Journey, Styx, Kansas, Magnum, Ufo, Asia e, naturalmente, Rush, Triumph e Saga.
Relativamente al discorso delle cover band, a quei tempi o suonavi musica da ballo, o componevi musica originale.
Era tutto molto più stimolante e i complessi che proponevano composizioni scritte in proprio erano tantissimi.

 Ok, capisco, toglimi una curiosità, molti non sanno che una delle vostre prime produzioni a livello di demo fu il seminale "Canada" demo che, oltre a presentare il fantastico brano strumentale “Never Surredner” ancora una volta influenzato da Rush, Styx e Magnum, è composto da vecchi brani che verranno in seguito ripresi, ce ne puoi parlare?
Si, quelle che senti in quel nastro, a parte 'Never Surrender', lo strumentale, sono le prime versioni di canzoni che avrei poi riproposto meglio arrangiate e rifinite negli anni a venire.
Nei primi due brani è addirittura Luca Villani a suonare la chitarra, mentre nei successivi si può sentire un Massimiliano Corona appena entrato nella band e ancora impegnato ad ambientarsi.
'Never Surrender' e 'Broken Heart' sono i brani che inviammo ad Antonio Ferro per farci conoscere e sono quelli che ci fecero guadagnare la prima recensione sul magazine 'Rockerilla'.
Grazie a questo promo si iniziò a parlare di noi nella prima metà degli anni '80 ed è proprio questo il nastro di cui Alessandro Massara fece una recensione strepitosa su 'HM', inserendoci addirittura non nello spazio della rivista normalmente dedicato alle band italiane ma direttamente tra le band esordienti americane...fu una soddisfazione incredibile.
Pensa che la seconda metà del demo venne registrata in uno studio di Riccione una domenica pomeriggio.
La sala di ripresa era stata costruita a ridosso di una ferrovia e il titolare, che era un vero incapace, ci faceva registrare negli intervalli tra il passaggio di un treno e l'altro.
Il risultato finale, a livello di suoni, fu pessimo, non all'altezza dei due brani che già avevamo registrato con Villani ma fummo costretti ad accontentarci dato che le nostre finanze non ci permettevano altro.
Di positivo ci fu che Marco Casadei, proprio in 'Never Surrender' cominciò ad usare la doppia cassa nella sua batteria.

Fu anche in quel periodo che partecipaste alla compilation Surgeri of power" con il brano "Don't throw your heart", grazie al vostro management legato alla Fireball, è così?
Ricorre proprio quest'anno il trentennale del nostro debutto su 'Surgery of the Power'.
L'album fu realizzato proprio grazie ad Antonio Ferro e al 'Fireball Management' e venne pubblicato dalla LM Records di Ravenna se la memoria non mi inganna.
'Don't Throw Your Heart' veniva direttamente dalle session per il promo 'Endless Pictures'.
Antonio scelse quella canzone perché, a suo dire, concentrava tutte le nostre influenze, il pomp, le radici progressive e l'AOR e ci rappresentava, quindi, al meglio.
La scelta fu azzeccata. Alcuni anni dopo siamo stati menzionati su una enciclopedia mondiale del rock e dell'heavy metal pubblicata dall'Arcana editore proprio grazie a quella canzone e a quel disco.
Devo, però, dire che l'album arrivò troppo tardi. In generale ero profondamente deluso da tutto l'operato dell'agenzia, operato che ci era costato tanti soldi e nessun riscontro pratico.
Probabilmente fu anche per colpa nostra che rappresentavamo la classica mosca bianca in un contesto heavy che non ci apparteneva e che, in buona parte, ci rifiutava ma considera che avevo ventiquattro anni...a quell'età tante cose con sei in grado di comprenderle a fondo e ciò ti può portare a reagire anche in modi sbagliati.
Dopo il disco ci staccammo dal 'Fireball' e da all'ora non ho più sentito parlare di Antonio Ferro.
Il promo 'But for You' fu anche il tentativo di ricominciare tutto da capo con altre condizioni ma, come dicevo prima, i tempi erano oramai cambiati e non c'era più spazio per la nostra musica.

La seconda fatica in studio dei Canada fu "Endless Picture", un lavoro di tre brani che, nonostante le difficoltà oggettive alle quali credo abbiate dovuto fare fronte, presentava ancora una volta le coordinate sonore della band, ovvero un melodic rock di pregevole fattura influenzato dal suono americano e radio friendly, sullo stile dei vari Van Halen, Journey e Toto...
'Endless Pictures' in realtà era nato per essere stampato in vinile e distribuito nei negozi.
Il titolo stesso era un gioco di parole a richiamare la sigla 'EP', che stava per 'Extended Play', un mini 'LP' che girava a 45 giri, composto, mediamente, da tre o quattro canzoni.
Il nostro manager, Antonio Ferro, aveva contattato un'etichetta di Milano, la 'Discomagic', che pur essendo specializzata in musica da discoteca, da qualche tempo stava facendo degli investimenti anche in campo rock ed heavy.
Ferro ci inviò un pre-contratto e prese un appuntamento con il titolare della casa discografica per un incontro ufficiale e l'apposizione delle firme.
Era l'estate del 1988. In quei mesi avevamo fatto anche una serie di concerti proprio per presentare dal vivo il nuovo materiale e, a uno di questi spettacoli, la rivista 'HM' inviò due giornalisti con lo scopo di conoscerci di persona e recensire il 'live set'.
Devi sapere che, nonostante fossimo radicalmente diversi da tutto ciò che era moda in quel periodo relativamente all'hard rock e all'heavy metal,il magazine 'HM', che era considerato, insieme a 'Metal Shock', la bibbia di riferimento di questi generi, grazie a uno dei suoi giornalisti migliori, Alessandro Massara, aveva pubblicato una serie di articoli attraverso i quali venivamo descritti come una specie di fenomeni italiani secondi solo ai grandi nomi americani come Foreigner e Journey e solo perché queste band avevano cantanti decisamente migliori del sottoscritto.
In ogni caso...ci presentammo a Milano in una caldissima giornata di luglio e ci recammo presso gli uffici della 'Discomagic' dove venimmo ricevuti dal titolare in persona.
A questo punto, prima sorpresa: lui non aveva mai sentito parlare di noi e, soprattutto, non aveva mai inviato un pre-contratto da firmare.
Io, che non ho un carattere facile, cominciai a temere che il nostro agente avesse messo in piedi una farsa in piena regola allo scopo di dare dimostrazione di grande efficienza a nostre spese.
Il responsabile dell'etichetta però, gentilissimo, mandò a chiamare il suo 'direttore artistico' garantendoci che lui, sicuramente, sapeva qualcosa di quella vicenda.
Dopo alcuni minuti si presentò nell'ufficio un inserviente, con tanto di spazzolone per la pulizia dei pavimenti e secchio colmo di acqua saponata, il quale, presentatosi con il nome di 'Ozzy' disse che, sì, aveva ascoltato il materiale per il disco ma che questo era di bassissima qualità a livello di composizioni, arrangiamenti e che, soprattutto, non sapevamo suonare!
Mi alzai di scatto, scaraventando la sedia da un lato ma Ferro mi bloccò facendomi segno di non dire alcunché perché avrebbe messo tutto a posto lui.
Infatti...lasciammo Milano con un pugno di mosche in mano e quei nastri, alla fine, diventarono il promo-tape intitolato 'Endless Pictures'.
Per quanto riguarda la musica contenuta in quel promo, nonostante il mio riferimento fossero Rush e Triumph, questa suonava decisamente più simile ai gruppi che tu hai citato con un'enfasi maggiore sulla caratteristica 'pomp'.
Era questo il problema principale che ci relegava ad essere un gruppo di nicchia.
In quegli anni, per poter essere preso in considerazione, dovevi suonare 'street metal', truccandoti come un travestito oppure 'thrash' indossando il chiodo e portando capelli lunghissimi sul viso.
Le mie canzoni erano tutt'altro! Soprattutto, gli arrangiamenti erano pieni all'inverosimile di tastiere, sintetizzatori e Moog bass pedals (ne ero riuscito a trovare un set a San Marino in ottime condizioni), che io adoravo suonare al pari del basso elettrico.
E vogliamo parlare del look? Sembravamo i BeeGees, con capelli corti curatissimi e giacche bianche molto eleganti.

Che ricordi hai di quelle registrazioni? Mi parleresti di come nacquero pezzi stratosferici come la splendida "Angel of the city", e la meravigliosa "Valerie"?
'Endless Pictures' venne registrato in una sala di registrazione di Rimini denominata 'Yellow Studio' che, tra l'altro, è tutt'ora esistente.
Poiché eravamo amici del titolare, questi aveva accettato di porci delle condizioni economiche molto favorevoli, concedendoci molto più tempo per lavorare rispetto a quanto pattuito inizialmente.
Negli anni '80, purtroppo, era impossibile trovare studi di registrazione con personale dotato di competenza nella musica rock. Agli 'Yellow' infatti registravano prevalentemente orchestre di musica liscio.
Eravamo totalmente in balia di noi stessi. Il nostro agente, infatti, nonostante mille promesse in tal senso, non venne in sala neanche una volta...e non è che tra Padova, la città in cui viveva, e Rimini ci sia chissà quale distanza.
Dal momento che avevo già avuto esperienza come produttore alcuni anni prima, realizzando un 45 giri per una band esordiente riminese e avendo prodotto anche il precedente demo del gruppo, decidemmo di fare da soli.
Sia 'Angel of the city' che 'Valerie' nacquero direttamente lavorando su delle idee che mi erano venute suonando le mie tastiere. Entrambi sono brani fortemente caratterizzati dal suono dei sintetizzatori.
L'idea ritmica di 'Angel of the city', in particolare, partiva da una canzone che avevo sentito in un film di Stallone che avevano distribuito nei cinema l'anno precedente, se non mi sbaglio, intitolato 'Cobra'.<br>
L'aspetto più divertente riguarda il testo di quel brano.
Il concetto partiva dall'immagine di un uomo che, per raggiungere la sua donna e la sua famiglia, affrontava mille difficoltà e infine coronava il suo sogno riuscendo a riunirsi con la sua amata nel dolce focolare domestico.
Tutto molto romantico...peccato che l'ispirazione mi venne guardando la pubblicità di un noto dado da cucina alla televisione!
'Valerie', invece, non fu altro che la mia, diciamo così, riscrittura della celeberrima 'Jump' dei Van Halen.
Partii da un riff sul sintetizzatore per sperimentare un timbro, che avevo programmato, che richiamava quello dell'Obhereim presente in quella canzone.
Io, a parte i bass pedals della Moog, possedevo un paio di Korg, un Bit99 Crumar e un Chroma Polaris e non mi potevo certo permettere di acquistare un Obhereim, nemmeno usato! Così fui costretto ad arrangiarmi.
Riuscii a programmare un timbro molto simile e il riff venne praticamente da solo. Il resto del brano, però, richiamava forse più i Journey e i Magnum, ecco, probabilmente, perché nessuno mi ha mai, su alcuna rivista o fanzine, accusato di scarsa fantasia o plagio.

Giuro che fra le decina e decina di demo che posseggo, "Endless Picture" è uno dei pochi in cui si evince le potenzialità espressive di una band dotata veramente di una caratura tecnica ben al di sopra della media dell'epoca, sai, non riesco a capacitarmi del perchè come mai all'epoca si vociferasse con toni entusiastici di formazioni, magari dozzinali, mentre dei Canada non parlava mai nessuno o quasi...
Questa cosa della caratura tecnica superiore alla media ci inorgogliva tantissimo.
Come dicevo prima, sulle riviste, a partire dalla storica 'Rockerilla' che per prima ci dedicò un articolo nel 1987 credo, sottolineavano sempre il fatto che, tecnicamente, eravamo, probabilmente, i migliori in assoluto. I paragoni con i grandi gruppi come Rush, Kansas o Journey erano continui.
Io ero semplicemente al settimo cielo per la gioia anche se, a riportarmi con i piedi per terra, ci pensava mio padre ricordandomi che ero perennemente senza un soldo in tasca e che avrei fatto meglio a tornare sui libri dell'università.
Anche le canzoni che scrivevo erano considerate di alto livello.
In Italia solo gli 'Elektradrive' e i 'Danger Zone' venivano reputati altrettanto bravi in termini di scrittura e quelle erano due grandi band che, al contrario nostro, avevano anche inciso dei dischi e quindi avevano un risalto maggiore.
Effettivamente, in senso lato, esistevano gruppi cui veniva data una più grande enfasi rispetto al nostro ma il motivo l'ho esposto prima: di noi non sapevano cosa farci!
Non eravamo 'Street', non eravamo 'Glam' né 'Thrash' né, tantomeno, 'Death'.
Avevamo capelli corti, vestivamo come gli 'Spandau Ballet', suonavamo canzoni con una durata media di 7 minuti, eravamo tecnici e ultra melodici e, cosa da non sottovalutare, i nostri arrangiamenti erano letteralmente affogati nelle tastiere.Richiamavamo tantissimo i gruppi di pomp-rock inglese della fine degli anni '70, come Magnum, Grand Prix e Stampede.
Ricordo una discussione una notte, in sala di registrazione, tra il sottoscritto da una parte e il batterista Marco Casadei e il chitarrista Massimiliano Corona dall'altra, in merito all'uso di un pianoforte elettrico Wurlitzer che io volevo assolutamente inserire proprio in 'Angel of the City'.
Corona e Casadei cominciarono a urlare che il Wurlitzer avrebbe addolcito troppo la sonorità di quella canzone e che non mi avrebbero mai permesso di portare i Canada a suonare come i Supertramp! <br>
Ma io adoravo i Supertramp! Comunque, alla fine, l'hanno avuta vinta loro e il pianoforte è rimasto inutilizzato.

Comunque, nonostante tutto, il vostro secondo lavoro "But for you.." non tardò ad arrivare, e solo due anni più tardi, la band continuò a ribadire quanto di buono aveva messo in mostra con il lavoro precedente, amplificando se vogliamo la componente tecnica che, comunque, vi distinguerà anche nel lavoro successivo.
'But for you...' fu, in effetti, il nostro terzo lavoro e fu realizzato in condizioni di grande economia.
Le registrazioni si svolsero in parte a casa dei miei genitori e in parte a casa del batterista.
Il missaggio venne effettuato nello studio domestico del nostro tecnico di palco che aveva, a sua volta, un gruppo anche se orientato sulla musica wave alla Depeche Mode.
Ciò che caratterizzò quel promo-tape fu il raggiungimento di sonorità finalmente simili a quelle dei Rush e parlo di sonorità, naturalmente; non vorrei che qualcuno pensasse che, in casa, su un registratore multitraccia a cassette e risorse limitate fossimo stati in grado di replicare ciò che la band canadese faceva in studi da milioni di dollari ovviamente!
Ero veramente entusiasta delle canzoni che avevo scritto.
Il nostro tecnico considerava 'Goodbye Patricia' un capolavoro assoluto e diceva continuamente che, grazie a quella canzone, sarei diventato straricco e uno degli autori più richiesti e pagati di sempre.
Infatti...

Un lavoro che segna un cambio nella line up ufficiale della band, con Massimiliano Corona che cede il passo a Roberto Macrelli, come mai arrivaste a questa sorta di split inaspettato che spiazzò alcuni fan della band, sottoscritto compreso?
L'abbandono di Massimiliano Corona non mi sorprese per nulla.
L'avevo scoperto che aveva 17 anni e nessuna esperienza in campo rock. Entrò nel gruppo a sostituire il primo chitarrista, Luca Villani, che, nonostaste fosse grande appassionato di fusion, sapeva veramente far suonare una chitarra elettrica.
Massimiliano era un esordiente. Antonio Ferro, sentiti i primi provini, ci consigliò addirittura di cacciarlo, reputandolo un incapace.
Non sapeva con chi aveva a che fare. Corona impiegò pochissimo a capire cosa gli era richiesto e ad adattarsi di conseguenza con risultati brillanti.
Il problema che divenne subito evidente, invece, fu un altro: Massimiliano era, ed è, aggiungerei io, maledettamente attratto dalle mode, e la moda in quel momento era lo 'street metal', i Poison, i Motley Crue e lui aspirava a quei modelli.
Ho fotografie che ci ritraggono con Corona truccato come un travestito, Casadei vestito in pelle come se fosse uscito da una session con i Judas Priest, e il sottoscritto abbigliato come Brian Ferry dei Roxy Music: eravamo veramente comici, e Ferro era alla disperazione perché vedeva vanificare il nostro talento a causa di scelte estetiche ridicole e completamente confuse e sbagliate.
Volevamo competere nello stesso ambito di Sabotage e Strana Officina, e sembravamo usciti dal circo Barnum...che ridere!
Ma stavo dicendo...dopo un intero inverno passato a provare il nuovo materiale e lo spettacolo per le date estive, a fine primavera Corona disse che sarebbe andato per quattro mesi con la famiglia in Sardegna e che avrebbe saltato il mini-tour promozionale di 'Endless Pictures'.
Mi venne un colpo! Chiamai immediatamente un vecchio amico, Roberto Macrelli, noto a Rimini per aver fatto parte di una cover band degli Iron Maiden, e gli chiesi se fosse disponibile a darci il suo aiuto.
Fortunatamente accettò e, dopo pochissime prove insieme, cominciammo i primi spettacoli che, purtroppo, risentirono in parte del clima di approssimazione che si era venuto a creare.
In ogni caso le capacità erano evidenti e Roberto finì per restare. Comunque, il nuovo arrivato riuscì ad entrare ottimamente negli schemi della band, impreziosendo brani dal piglio leggermente più progressivo, sullo stile dei Rush di "Power Windows", "Roll the bones" e "Hold your fire" e che ti vedevano nel ruolo di novello Geddy Lee...
Macrelli partecipò alle sessioni di 'But for You...' e svolse un lavoro splendido.
Io ero completamente assorbito dalla musica dei Rush. 'Power Windows' e 'Hold Your Fire' suonavano continuamente sullo stereo di casa; quella musica mi portava letteralmente alle lacrime da quanto era bella e passavo ore e ore sui miei sintetizzatori e sul sequencer a programmare tutte le tessiture sonore che sarebbero poi finite in 'But for You...'.
Mi sentivo veramente il clone perfetto di Geddy Lee.
Suonavo anche un basso Rickenbacker ovviamente, e per le nuove registrazioni ero passato ad uno Steimberger che mi ero fatto prestare da un amico.
La canzone che più si avvicinò a quello stile, tuttavia, fu 'Eyes on You' che avevo scritto molti anni prima per farla somigliare a 'Born to Run' di Bruce Springsteen!
'Eyes on You' contiene tutti gli ingredienti di un brano dei Rush della seconda metà degli anni '80: synth bass, campionatori, strati e strati di sintetizzatori e tastiere, effetti, chitarre spaziali e una parte di batteria micidiale...neanche Alan White degli Yes di '90125' avrebbe saputo fare di meglio. Casadei fu grandissimo.
'Goodbye Patricia', al contrario, era una classica ballad AOR con pianoforte e partiture orchestrali. Macrelli compose un solo di chitarra favoloso per quella canzone; fu veramente bravo.
In 'Broken Heart', il terzo dei brani di quel promo, era ancora evidente l'influenza pesante dei gruppi pomp-rock come Asia, Prophet e Giuffria. <br>
Anche qui avevo inserito cascate di tastiere e sintetizzatori e addirittura il campionamento di un gong...volevo che Marco Casadei si sentisse come un novello Carl Palmer reincarnato!
Tutto molto heavy-metal, non trovi?

Dannatamente!!!! Superlativa l'opening track "Eyes on you", magistrale "Goodbye Patricia" e da applausi a scena aperta il tormentone "Broken Hearts", una delle mie dieci song preferite di sempre, un brano che, con qualche passaggio radiofonico mirato, avrebbe sicuramente conquistato un'audience più ampia di quella nostrana dell'epoca, invece...
...invece eravamo arrivati alla fine degli anni '80. Il rock si era definitivamente spogliato di tutti i suoi orpelli e il grunge stava cominciando ad abbattersi come una tempesta su tutti coloro che vedevano ancora l'hard-rock e l'heavy metal incanalati entro binari molto classici e abusati.
Prova a immaginare come poteva essere per noi che eravamo stati fuori moda per tutto il decennio.
'But for you...' passò totalmente inosservato.
Venne recensito su 'HM' e 'Metal Shock' con toni prevalentemente compassionevoli: poveri CANADA, bravissimi, dei veri veterani, autori di canzoni splendide ma così vecchi, datati, cosa ci stanno a fare ancora qui a rompere i coglioni?
Per me fu evidente che eravamo arrivati al capolinea e il tour che seguì fu un vero disastro.

Toglimi una curiosità, ma chi è la bellissima ragazza ritratta nell'immagie di copertina, te lo dico solo perchè ha turbato più di una volta i miei sogni di giovane rocker, è mai esistità?
La ragazza ritratta in copertina era semplicemente la mia fidanzata di allora.
Le chiesi se potevo utilizzare una sua foto per il promo e lei accettò molto divertita.
Purtroppo la riproduzione della cover avvenne mediante fotocopie, non potevamo permetterci uno studio grafico e la stampa in tipografia; ti assicuro che l'originale è decisamente migliore della copia che è finita a ricoprire le cassette.
Pensa che nella mia camera c'era un'intera parete tappezzata di sue foto. Chiunque veniva a casa pensava si trattasse di una modella.
Solo quando mi incontravano in giro capivano che non mentivo e che la donna dei ritratti era effettivamente la mia ragazza.
In quegli anni sono stato il ragazzo più invidiato e odiato di Rimini...te lo assicuro!

Quanto era difficile essere una band di rock melodico/aor italiana in quegli anni? Nel senso che oltre a combattere contro le infrastrutture inesistenti, anche la stampa estera si dimostrava poco duttile nei vostri confronti, vero?
Il paradosso è proprio questo! Sia i magazine che le fanzine estere erano entusiasti del gruppo.
Scrivevano che ero un musicista di grande talento e che la band era composta da elementi di valore assoluto.
Secondo la stampa europea e americana la forza dei CANADA era proprio nella tecnica messa al servizio di canzoni semplici, di facile comprensione e estremamente melodiche. <br>
Le difficoltà le incontravamo in Italia.
A parte Alessandro Massara e pochi altri, in linea di massima, nelle recensioni, dopo aver sottolineato le capacità di cui disponevamo, si chiedevano perché desiderassimo farci promozione in campo metal, scrivevano che non eravamo hard né, tantomeno, heavy e più o meno velatamente cercavano di far capire ai lettori che potevano anche disinteressarsi di noi perché tanto non servivamo ad alcuno. <br>
Si lasciavano confondere dal fatto che le chitarre erano in secondo piano rispetto alle tastiere e che il basso usciva dal mix in maniera forse eccessiva.
Arrivarono addirittura a sottolineare che io tenevo il palco in maniera troppo composta ed educata: come se l'educazione fosse un difetto!
Bisogna riconoscere che Antonio Ferro credeva in noi proprio in virtù di caratteristiche che ci rendevano unici...anche gli Elektradrive erano più duri e pesanti di noi e infatti, loro, un paio di album, tra l'altro bellissimi, li hanno anche fatti.

In che maniera si consumò lo split della band? Musicalmente parlando, cos'hai combinato?
Decisi di chiudere con la band dopo un concerto tenuto a Misano, un paesino sulle colline dell'entroterra riminese.

Gli organizzatori ci avevano garantito un pubblico di almeno duemila persone e noi ci presentammo con un camion pieno di attrezzature e tre automobili piene di strumenti. <br>
Andò a finire che suonammo davanti a poco più di una decina di persone...le contai una a una!
Rientrati a casa, quella notte, rimasi un paio d'ore a parlare con Marco Casadei; ero deluso, 'But for You' non stava dando i risultati sperati e io ero veramente stanco di tutto. <br>
Il giorno dopo portai tutte le mie tastiere e i sequencer in cantina, chiusi il mio basso Rickenbacker in una custodia che infilai sotto al letto e lo lasciai lì per i successivi due anni. <br>
Nel frattempo scoprii Billy Sheehan e i Talas, poi arrivarono band come Badlands, Mr.Big, King's X...i Rush tornarono ad essere più aggressivi e io, sulle orme di Stuat Hamm, Randy Coven e lo stesso Sheehan cominciai a suonare milioni di note sul basso e ad infilare il tapping a otto dita ovunque. <br>
Questo rincoglionimento, che mi portò ad esibirmi anche con orrende pantacalze elastiche, capelli lunghissimi e polsini da tennista in cover band dedite a riproporre il repertorio di Talas, Malmsteen, Mr.Big, Satriani e Steve Vai durò sino al 1995 circa.
Nei sette anni successivi e quindi sino al 2002, smaltita la sbornia ipertecnicista e ritornato in possesso delle mie facoltà mentali (e con molti meno capelli in testa), ho suonato in altre cover band cimentandomi con brani di PFM, Marillion, Pink Floyd ma anche con cose discutibili come canzoni di Vasco Rossi, Ligabue e Massimo DiCataldo! Poi è arrivato il disgusto per tutto questo e ho deciso di lasciare.
Ho realizzato uno studio in casa e ho cominciato a scrivere nuovo materiale per un disco solista.
Purtroppo, per vari motivi, ho avuto una grave crisi depressiva da cui non sono ancora completamente uscito e il lavoro è andato avanti molto a rilento e con grandi difficoltà sino ad oggi.

Non hai mai pensato che se fossi nato in un altro paese, diciamo proprio il Canada, forse la tua vita artistico/musicale sarebbe, diciamo, cambiata?

Chissà...mi piace pensare di si.
Sicuramente sento di essere nato nel Paese sbagliato.
Tra il mio modo di essere, vivere, pensare e quello dell'italiano medio esiste un abisso.
Avrei preferito nascere in posti come Israele, Stati Uniti o Canada, posti dove l'individuo, la sua intelligenza e le sue capacità hanno un valore primario.
Da noi ha sempre ragione il più furbo.
I disonesti, i perdenti cronici, con le lamentele possono sempre essere sicuri di riuscire ad ottenere quello che desiderano e sempre a discapito di chi, educatamente, rimane al suo posto confidando nel riconoscimento delle proprie capacità.
Non so se nascere all'estero mi avrebbe aiutato nella mia vita artistica...sicuramente una possibiltà vera di provare a dimostrare quanto valevo me la sarei vista concedere.

Pensi che, con tutta l'esperienza che hai accumulato in questi anni e con l'avvento delle nuove tecnologie, oggi i Canada avrebbero avuto vita più facile?
Non credo.
Il problema dei CANADA non erano le tecnologie ma la nostra scelta artistica che non era compresa né condivisa.
Oggi, nel mio studio, riesco a fare musica di un livello qualitativo molto più alto, soprattutto a livello di produzione.
Ho fatto ascoltare un piccolo file audio a un collega di lavoro e lui stentava a credere che lo avessi realizzato in casa facendo tutto da solo.
Simili mezzi, venti/venticinque anni fa avrebbero certamente fatto risparmiare tantissimi soldi. Questo è sicuro.

Guardando al passato, pensi di avere più ottimi ricordi, o rimpianti? Potendo tornare indietro, rifaresti tutto daccapo?.. e se non è troppo, a livello puramente artistico, com'è cambiato in tutti questi anni il modo di rapportarti alla musica suonata e concepita?
Quando ripenso a quegli anni non ho alcun tipo di rimpianto, tanto che anche le esperienze negative fatte, oggi, le ricordo piacevolmente con un sorriso.
Pagherei di tasca mia per poter rifare tutto da capo e rifarei tutto allo stesso modo...certo, vorrei avere la saggezza che ho ora a quasi 45 anni ma non si può pretendere troppo vero?
Per quanto riguarda il rapportarmi alla musica concepita e suonata, in questi anni il mio approccio ha subito dei cambiamenti radicali.
Come dicevo prima, sarà l'età', ma ora amo più che mai la vera musica, quella creativa di grandi artisti come Steve Wilson con i Porcupine Tree o Omar Rodriguez Lopez dei The Mars Volta o, ancora, Trent Reznor con i suoi Nine Inch Nails.
E non dimentichiamo che sono ancora artisticamente follemente innamorato dei Rush, di Les Claypool e i Primus e del grande, geniale, Todd Rundgren.
Al contrario, Dream Theater, i riformati Mr.Big e tutti quelli del carrozzone delle mille note al secondo mi provocano un misto di noia, risate e conati di vomito...sono contento di essere sceso da quel carro tanti anni fa.

Non avete mai pensato ad una reunion o a ristampare parte del vostro materiale inedito?
Guarda...ho pensato ad una reunion all'inizio di quest'anno per celebrare in qualche modo il ventennale del disco 'Surgery of the Power'.
Le difficoltà vengono dal fatto che, tanti anni fa, ho tagliato Roberto Macrelli fuori dalle mie amicizie per motivi che preferirei non ricordare.
Massimiliano Corona ora fa il turnista; è andato in tour con Sylvie Vartan, ha suonato con Lucio Dalla e scrive canzonette per Nek.
Ho pensato ad un nuovo chitarrista, ma quando ho contattato Marco Casadei per proporgli di riformare il gruppo, ho trovato un muro...lui si sente più realizzato suonando cover in un pub.<br>
Mi piacerebbe anche risuonare e registrare nuovamente in maniera degna il vecchio repertorio degli anni '80 un po' come ha fatto Steven Wilson con i primi lavori dei Porcupine Tree e come fece Frank Zappa con alcuni dischi del suo catalogo.
La domanda è: a chi potrebbe interessare?
Di inediti non ne esistono a parte un paio di registrazioni live del 1989.
Nel 1995, in realtà, riformai il gruppo con Casadei e un bravo chitarrista locale chiamato Matteo Macalli.
Scrissi due canzoni nuove e riarrangiai 'Goodbye Patricia' unendo alla musica testi in italiano ed eliminando tutte le tastiere dando molto risalto alle chitarre.
Andammo ad esibirci ad uno showcase a Roma, sembrava dovessimo firmare per la RTI (Mediaset per intenderci) e poi finì tutto in una bolla di sapone.
Praticamente la storia della mia vita!
Peccato perché quelle canzoni non erano male per nulla.

Grazie Massimo per averci donato un po' del tuo prezioso tempo, concludi l'intervista nel modo che più ti aggrada.
Concluderei ringraziandoti infinitamente per questa intervista...non hai idea di quanto abbia contato per me, senza considerare il fatto che non avrei mai immaginato che potesse esistere, a distanza di venti anni, ancora qualcuno innamorato dei CANADA e delle mie canzoni.
Fammi sapere se vieni a Rimini perché sono seriamente intenzionato ad invitarti a cena.
Vorrei ringraziare anche Gianni Della Cioppa per avere trattato dei CANADA nel suo bellissimo libro intitolato 'Italian Metal Legion' e Paolo Cossali per aver in qualche modo inserito la band nella sua 'Enciclopedia dell'Hard Rock e dell'Heavy Metal' di qualche anno fa.
Grazie a tutti voi per avermi fatto ricordare che non tutti i miei anni più belli sono finiti dispersi nel vento.
Pace.

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