Thundersteel – Thunderstel (Black Mark Production, 1993)
Quanto era arduo per una giovane band suonare heavy metal d'impostazione classica in un periodo dove anche le formazioni di spicco, anche quelle storiche, faticavano a vendere e a rimanere in piedi? Difficile, molto difficile anche perchè le leggi di mercato, da sempre impietose, non permettevano passi falsi, nemmeno se avevi le carte in regola per poter fare bene in prospettiva futura, proprio come nel caso degli, allora giovani, Thundersteel i quali, dopo una lunga trafila a base di prove in cantina e demo tape auto prodotte, ben due, nel 1993 riuscirono a catturare l'attenzione dell'allora iper-attiva Black Mark Production, e a strappare loro il deal che li condusse al disco di debutto auto intitolato.
Sormontato dal cover artwork dell'arcinoto Kristian Wahlin, “Thundersteel” è un disco che rivela le ambizioni di una band che si immola anima e corpo sull'altare sacrilego del metal classico di matrice tipicamente power metal, e dall'autorevole impronta teutonica che, oltre a citare cardini imprescindibili come Running Wild, Grave Digger ed Helloween, si lascia andare a fraseggi più roboanti che non possono non citare i maestri Riot, dai quali ereditano ben più del prestigioso moniker.
La pioggia di note della marziale “Burn in Hell”, dominata da un wall of sound imponente, la sanguinolenta “Flash and Thunder”, autorevole nel suo incedere old style, le chitarre armonizzate di “Face the evil”, o la pachidermica “Cold as ice”, pesante come un macigno, sono solo alcuni degli episodi che bramano vendetta ne confronti di chi, ingiustamente, ha sottovalutato l'enorme potenziale espressivo di una compagine che ha nel cantato rauco e nasale del singer Nils Lange un terminale offensivo di tutto rispetto.
L'ep “Flash and thunder” di un anno più tardi, che contiene tre brani remixati, rappresenta l'epitaffio discografico di un manipolo di validi musicisti che mollarono la presa all'apice della loro carriera.
Da rivalutare.
(Beppe Diana)
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