Dark Horizon - The way of Salvation
I Dark Horizon sono cresciuti, già, e non solo dal punto di vista anagrafico, anche perchè, nell'arco di tempo che ci ha separati dalla realizzazione dal precedente step discografico, la formazione piacentina è andata incontro ad una maturazione compositiva, figlia naturalmentedegli stravolgimenti a livello di line up, che li ha condotti ad intraprendere un sentiero sonoro che, da quanto potuto appurare con mano, segna un netto distacco con il passato, e questo grazie soprattutto alle qualità attitudinali dei nuovi arrivati nonchè ad un trittico di brani focalizzati attorno ad un symphonyc metal elegante e sinuoso, di tipica matrice classica, contraddistinto come sempre da una forte vena melodica di fondo.
Al tastierista Alessandro Battini l'arduo compito di introdurci fra i meandri di “9 ways of salvation”
Intervista raccolta da: Beppe "HM" Diana
Ciao Alex e bentrovato, dunque, il nuovo album dei Dark Horizion “9 ways of salvation” è uscito dopo un lungo periodo di pausa dal precedente “Aenigma”, sette anni possono sembrare lunghissimi, in realtà di avvenimenti nel mondo della band ne sono accaduti parecchi, primo fra tutti la sostituzione del cantante, cos'è successo con Roberto Quassolo? Era solo stanco di prestarsi a certe sonorità o cosa? Lo split con il resto della band è avvenuto in maniera amichevole?
Ciao Beppe, grazie mille per aver dato nuovamente spazio ai Dark Horizon! Dall’uscita di “Aenigma” la band è mutata profondamente nella sua line-up. Il primo divorzio è stato con Roberto Quassolo, nostro cantante da quasi 15 anni. Dopo tanto tempo insieme, quando un rapporto si interrompe, non tutto può essere chiuso col sorriso, quindi non posso negare che ci siano stati momenti piuttosto tesi tra di noi. In fase di songrwriting ha lasciato la band anche Gianluca Capelli, uno dei membri fondatori dei DH ed al suo posto è tornato Marco Polledri, che aveva registrato il nostro primo full length “Son Of Gods”. Poco dopo la release di “9 Ways”, invece, è stata la volta di Paolo Veluti, sostituito da Riccardo Guity al basso. Ma, come si dice, la vita va avanti ed ognuno degli ex-membri ha potuto lavorare su altri progetti. Mentre io e Daniele, come è capitato in passato, abbiamo girato pagina, in primis con l’ingresso di Giulio, che ci ha permesso di iniziare un nuovo corso.
Si, infatti l'inserimento di Giulio ha portato nuova linfa vitale al sound della band, credo che il suo particolare timbro vocale molto più impostato su registri melodic rock, abbia in qualche modo permesso alla band di perlustrare ambientazioni musicali inesplorati, non credi?
Con l’addio di Roberto sarebbe stato inutile cercare un cantante con un timbro simile, se nuovo corso doveva essere, era giusto cambiare profondamente pelle. E con Giulio è stato così, perché abbiamo potuto percorrere nuove strade a livello musicale, con chitarre molto più pesanti, arrangiamenti sinfonici un po’ meno ingombranti e linee di voce vicine all’ hard rock o a quel metal ottantiano, da cui veniamo un po’ tutti.
So che è difficile per te doverlo ammettere, ma quali sono le differenze più evidenti rispetto alle precedenti produzioni della band? Pensi che la band sia notevolmente maturata nell'ultimo lustro?
Non ricordo un disco dei DH uguale ad un altro e questa credo che sia stata, nel bene e nel male, sempre una nostra peculiarità. Avremmo potuto cavalcare l’onda del successo dell’esordio “Son of Gods”, figlio del power all’italiana di fine anni ’90, invece con “Dark Light Shades” siamo passati ad un heavy sinfonico più melodico, con arrangiamenti più strutturati. Ed è stata una scelta giusta, per quello che resta il nostro disco più venduto, ma con “Angel Secret Masquerade”, invece di battere il ferro, abbiamo invertito nuovamente la rotta, con un lavoro maggiormente progressive. Con “Aenigma” abbiamo arricchito i pezzi di arrangiamenti orchestrali preponderanti; invece, nel nuovo “9 Ways” abbiamo scelto la strada opposta, ovvero asciugando le song dai tanti orpelli, andando dritti la sodo. Non so se questo equivalga ad una maturazione compositiva, ma sicuramente è per me molto vicino al significato di evoluzione.
Cosa puoi raccontarci sulla stesura del songwriting, è stato più fluido che in passato? I nuovi brani vi hanno soddisfatto sin da subito?
Per la scrittura dei nuovi brani abbiamo voluto, complice la formazione rinnovata, ritornare a scrivere in sala prove. Negli album precedenti abbiamo via via spostato la parte creativa dalla saletta alla lavorazione al computer e ciò rendeva tutto più pratico, ma il rischio era di perdere il significato di band ed il piacere di fare le cose assieme. Per questo album siamo tornati allo spirito dei primi tempi, cercando di vederci con regolarità, trovare la direzione da dare alle canzoni e lasciare alla pre-produzione e allo studio solo la lavorazione dei dettagli.
Comunque, credo che, carte alla mano, abbiate avuto dannatamente ragione a puntare su di un suono più melodico, a mente fredda, siete totalmente soddisfatti di come sia venuto fuori il nuovo lavoro, o pensate che, potendo, cambiereste qualcosa?
Se chiedi al sottoscritto, ovviamente avrei aggiunto molte più orchestrazioni! (ride, nda). Diciamo che il disco è venuto fuori come un buon compromesso tra le influenze di tutti noi, anche se, essendo Daniele e Giulio i principali autori dei pezzi, la bilancia pende dalla loro parte e quindi sono decisamente più presenti le chitarre e le parti melodiche. I primi feedback sono stati positivi, quindi non ci pentiamo di questa nuova strada intrapresa.
“9 ways of salvation” è un titolo molto esplicito che dietro nasconde diversi significati uno dei quali richiama alla memoria la tradizione cristiana ovvero nella descrizione dei nove modi in cui Dio può condurre le persone alla salvezza, ce ne parleresti?
L’album è un viaggio introspettivo, che è stato parte importante della vita di molti. Spesso siamo arrabbiati con noi stessi, ma continuiamo a cercare negli altri qualcosa che non va, ma non ha nessun senso circondarsi di energie negative.
Purtroppo, il mondo sarà sempre controverso ed è inutile pretendere che non lo sia, ma forse possiamo trovare la nostra oasi: l’apparenza è il male, mentre il bene si muove nella sostanza. Dentro di noi abbiamo già tutte le risposte, ma non ci ascoltiamo abbastanza e nel buio più totale non dobbiamo mai disperare: forse una luce è già pronta a risplendere e mostrarci la via verso la salvezza ed in ognuna delle 9 canzoni presenti sul disco proviamo a dare una nostra interpretazione di ciò.
Perdonami la curiosità ma la figura mitologica della Medusa in copertina in che maniera si lega al resto delle liriche/titolo del disco?
La cover, realizzata dall’artista sudamericano Romulo Dias, era già pronta così come la vedi e ci è piaciuta subito. Il soggetto, una sorta di gorgone dalle fattezze umane con delle ferite che possono essere state autoinflitte o ricevute, si sposa bene con le tematiche oscure delle lyrics ed il mood generale del disco.
La produzione pulita e speculare ottenuta negli studi dove lavora Daniele, mi fa presupporre che, per il vostro nuovo album disco, volevate che tutto, ma veramente tutto, fosse curato nei minimi particolari, è stato veramente così? …e se non è troppo, quanto è importante per una band come la vostra poter lavorare in serenità con un tecnico che sa bene quello che volete, e sa soprattutto come ottenere il meglio da tutti voi?
Come al solito, si è trattato di un processo abbastanza lungo, perché per noi la cura dei dettagli è fondamentale da sempre, anche se le registrazioni si sono svolte all’Elfo studio ed in Tanzanmusic studio in modo abbastanza canonico, suonando tutte le parti senza ricorrere a programmazioni. Da un punto di vista pratico è sicuramente un vantaggio per noi avere nella band Daniele con il cappello da produttore indosso, perché, chi meglio di lui conosce il sound dei DH? Dall’altro lato ciò risulta un impegno gravoso e stressante per lui, in quanto deve gestire il lavoro di tutti, oltre che le sue parti di chitarra e gli arrangiamenti. Per questo motivo, ma non solo, per mix e mastering ci siamo rivolti a Lars Rettkowitz dei Freedom Call ed è stata la prima volta che un nostro disco non è stato curato personalmente da Daniele dopo le registrazioni. Per questo nuovo corso abbiamo sentito la necessità di ricorrere ad una figura esterna, un musicista con cui c’è reciproca stima, che ci aiutasse a trovare il sound che valorizzasse al massimo i pezzi. Ed il risultato finale ci ha entusiasmato.
E adesso come ti senti? Svuotato e privo di energia perchè pensi di avere dato tutto, oppure hai ancora voglia di spaccare il mondo in due, perchè suonare e comporre la musica dei Dark Horizon continua a fornirti energia allo stato puro?
In questo momento ho, anzi abbiamo, tanta voglia di suonare dal vivo e proporre questi nuovi brani on stage, perché crediamo che l’ambito live sia perfetto per farli rendere al massimo. Siamo fermi da tanto, troppo tempo e ogni progetto parallelo che ho messo in piedi in questi anni non riesce a darmi la stessa carica a livello live. Suonare canzoni scritte tanti anni fa, mi dà la stessa adrenalina ed è anche motivo di grande soddisfazione essere ancora sulla scena, nonostante tutto.
La scelta d'inserire una cover dei Depeche Mode all'interno del lotto di composizioni può sembrare molta coraggiosa, invece?
Dopo l’arrivo di Giulio nella band, e, complice anche il brutto periodo del Covid, abbiamo fatto diverse prove per capire quale dovesse essere il sound da seguire, anche su delle cover. Oltre al primo singolo “The Key”, uscito in vinile nel 2020, abbiamo pubblicato questa reinterpretazione di “Precious”, che non si discosta poi molto dalle sonorità di “9 ways”, da qui il motivo dell’inserimento della song nell’album.
Quanto è importante l'uso della tecnologia per una band legata al suono classico come la vostra?
La tecnologia è diventata fondamentale per snellire il lavoro in studio di registrazione, rispetto al passato. Il lavoro nei nostri home studio ci permette di presentare produzioni quasi definitive a livello di arrangiamento, linee principali, ritmiche. Diventare schiavi, però, di questo tipo di aiuti rischia di cancellare la parte artistica di una band in fase compositiva, rendendo tutto più finto, piatto, omologato. Per questo motivo abbiamo deciso di eleminare tutte le basi durante i nostri concerti, per una dimensione molto più vera, in cui emerge la band e la “botta” che è in grado di dare sul palco. Certo, le canzoni maggiormente arrangiate, perdono certi particolari, certi dettagli, ma i brani acquistano un maggiore impatto ed il loro lato più sanguigno. D’altronde stiamo sempre parlando di heavy metal, no?
Non possiamo negare il ritorno in auge di certe sonorità classiche da parte di molti artisti che avevano mollato la presa proprio al culmine della loro carriera perchè il mercato musicale era in qualche modo cambiato, la mia domanda è, ma quando la maggior parte di loro non sarà più on the road, chi prenderà il loro posto? Io non vedo il classico “ricambio generazionale”, e tu?
Il ricambio generazionale, come non c’è stato nelle band, non c’è stato nemmeno nel pubblico. Sono stato recentemente al concerto dei Savatage a Milano e, guardandomi intorno, ho visto solo metallari con i capelli grigi (o senza capelli i più sfortunati, ride nda). E’ evidente che alle nuove generazioni non interessa più la musica intesa come passione e forse anche per questo motivo non ci sono band nate negli ultimi anni in grado di seguire le orme dei grandi big. Non si può negare che i vari Sabaton e Powerwolf abbiano raggiunto livelli importanti, ma anche una decina d’anni fa i Dragonforce sembravano pronti a spaccare il mondo, invece adesso chi se li ricorda più? Ho il dubbio, che sarà la fine anche di altri gruppi attualmente sulla cresta dell’onda. Non dico che non vedo i nuovi Iron Maiden, per carità una band irraggiungibile, ma nemmeno i nuovi Savatage, i nuovi Blind Guardian, i nuovi Halloween. Ho paura che la nostra amata musica resterà una passione per pochissimi, musicisti ed ascoltatori.
Qual è lo scopo finale che vi siete posti di raggiungere come band? Raggiungere un buon numero di fan in più ergo copie fisiche vendute oppure avere una possibilità maggiore di suonare dal vivo?
Come detto in precedenza, vogliamo tornare a calcare i palchi con maggiore regolarità, perché il progetto DH è nato quasi 30 anni fa per questo motivo. Abbiamo pubblicato tanti dischi negli anni e quindi non c’è più la smania di uscire con nuove releases come quando avevamo 25 anni: scrivere nuova musica è diventata soprattutto un’occasione per suonare dal vivo.
Visto che siamo in argomento, com'è andata la data del release party del nuovo album?
Il primo concerto con il nuovo corso è andato bene. C’era grande curiosità da parte dei fedelissimi di vederci all’opera sul palco con nuovi musicisti ed anche di sentire i nostri classici cantati da Giulio. Ci siamo divertiti anche sul palco e si è creata una bella alchimia tra di noi. Il 23 agosto suoneremo al Wondergate Festival con Stratovarius, Sonata Arctica e Rhapsody, e quello sarà sicuramente un bel banco di prova per la band, su un palco molto importante. Altre date arriveranno presto, restate sintonizzati sui nostri canali e le scoprirete.
Una band madre, due progetti paralleli, famiglia, lavoro ma quante caxxo di ore ci sono nella tua giornata tipo? Ti sei fatto clonare o cosa? Come riesci a far fronte a tutti questi impegni e a rimanere ancora integro? No, facce capi'...
Tutta colpa, o merito, della musica. Non riesco proprio a stare senza suonare, scrivere pezzi, andare in studio a registrare. Certo, i DH sono la mia band principale, anche per il valore affettivo che mi lega al gruppo, ma con i DreamGate, progetto symphonic metal uscito lo scorso anno, mi sono divertito un mondo. Tanto che dopo l’estate entreremo in studio per le registrazioni del secondo album. E non dimentichiamo i Sangreal, band messa in piedi dall’amico Jahn Carlini dei Great Master: il nuovo album è in dirittura d’arrivo ed uscirà ad inizio 2026. Ma non voglio fermarmi qui, perché per il trentennale dei DH ho in testa una release speciale, per celebrare questo evento come si deve!
Ok Alex, siamo alla fine, ti lascio carta bianca...
Caro Beppe, ti ringrazio prima di tutto per la tenacia con cui porti avanti il tuo progetto, per dare visibilità a realtà musicali come la nostra. Se dopo tanti anni band come i Dark Horizon esistono ancora è merito di chi, come te, non si ferma e crede fortemente nelle proprie passioni. Infine, non posso chiudere l’intervista citando Maurizio Chiarello dell’Underground Symphony, un altro pioniere del settore, che non smette di lavorare per la scena power metal, nonostante tutte le difficoltà di questo periodo storico così buio per le vendite dei dischi.
Alessandro
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