Heaven's Gate – Livin in Hysteria (SPV, 1991)


Non potevamo incominciare questo breve escursus sulla scena heavy metal teutonica degli anni novanta se non con gli Heaven's Gate anche se, ne siamo tutti consci, meriterebbero un capitolo a parte, non solo perchè i musicisti chiamati in causa hanno edificato nel tempo un vero e proprio status di grandeur che va ben oltre la mera auto celebrazione, ma soprattutto perchè le loro pubblicazioni discografiche, soprattutto quelle del primo periodo, posseggono quel quid in più che le fa elevare ben al di sopra della media.
Formati attorno al talentuoso singer Tomas Rettke, ex Steeltower, ed al celebrato chitarrista, ora rinomato produttore, Sacha Paeth, i nostri, che con l'abum di debutto “In Control” ed il mini “Open the Gate and Watch!” erano riusciti a conquistare la stima e l'affetto del pubblico giapponese, con il secondo sigillo a titolo “Livin in hysteria”, ribadirono, non solo quanto di buono espresso in precedenza, ma si spinsero oltre, raggiungendo quell'eccellenza compositiva che, solo qualche mese più tardi, arriverà a sfiorare il suo zenit con l'altro pezzo da novanta a titolo “Hell for sale”.
Heavy metal puro e rovente come l'acciaio che sgorga copioso dall'alto forno, con una certa predilezione nei confronti del versante più tradizionale della scuola teutonica, arroventato da chitarre armonizzate, ripartenze in doppia cassa, tonnellate di melodia allo stato puro, e quel certo sarcasmo mai celato, come ben evidenziato dall'opera d'artwork, ecco cosa si nasconde dietro le trame di queste dieci tracce che trasudano passione e dedizione, sagacia e maestria, elementi questi che si fondono all'unisono, per dare forma, ma soprattutto sostanza, ad un tessuto musicale che porta in dote veri e propri cavalli di battaglia del calibro della title track, il mid tempo “Can't stop rockin”, la più sostenuta “Neverdending fire”, la scintillante “We want it all”, o la coriacea, ed auto celebrativa “Gate of heaven”, sicuramente fra gli episodi più riusciti dell'intero il lavoro, che raggiungere il suo apice sulle note della malinconica ballad “Best days of my life”.
Produzione sfavillante ad opera di Charlie Bauerfiend che risalta le doti tecnico/qualitative di un  disco di valore assoluto proprio come la band che lo ha registrato, niente di più, niente di meno.
(Beppe Diana)
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