The Headless Ghost - Whispers in the Dark


 Determinazione! È celato dietro a questa semplice locuzione, lo spirito che alimenta l’animo artistico dei new comer The Headless Ghost, formazione con base operativa nell’hinterland milanese, uscita allo scoperto con la pubblicazione dell'ottimo "King of Pain", uno degli highlist dell'anno metallico appena passato, artefici di un suono incentrato attorno ad una componente musicale, le cui coordinate stilistiche risultano essere affini ad un heavy metal di matrice classica e di stampo prettmente dark, caratterizzato dalla verve e dalla sagacia di versante compositivo che, il più delle volte, riesce a porre l’accento su qualità peculiari d’indubbio valore artistico.
Una carriera alle spalle come cover, la consapevolezza di aver finalmente raggiunto una certa maturità a livello puramente tecnico/compositivo, un secondo album in preparazione, di carne al fuoco per un’intervista face to fece ne trovate e tanto, per cui...

Intervista raccolta da: Beppe “HM” Diana

Ciao ragazzi e benvenuti sulle nostre pagine, partirei subito con la domanda più scontata, come sta procedendo la promozione del vostro primo disco in questo periodo di apparente stasi mediatica? Da quanto letto in rete il vostro disco è stato accolto sotto i migliori auspici un po ovunque, ve lo aspettavate?

ALBE:  Non ce lo aspettavamo ma lo speravamo!
Sapevamo di avere in mano un buon prodotto e lo abbiamo spinto (e lo stiamo spingendo) al meglio delle nostre possibilità, sfruttando le nostre conoscenze nella scena metal italiana (e non) e investendo mezzi e tempo. Sono un forte sostenitore dell’arte dell’arrangiarsi. Nessuno farà nulla per te. Non aspettarti nulla. Sarò cinico ma è così. Viviamo in un mondo non meritocratico e dove se vuoi una cosa devi prendertela. Noi stiamo provando a prenderci il nostro pezzo di mercato.

Dunque, rispetto ad un recente passato, il vostro status musicale si è evoluto da “semplice” progetto/cover band verso uno stile personale ben definito, senza per questo aver minimamente rinnegato le vostre radici primigenie, un progresso/crescita artistica che, mi pare di capire, si pone in stretta relazione con la vostra consapevolezza di aver finalmente raggiunto una certa maturità a livello puramente tecnico/compositivo…..pensate che oggigiorno si possa risultare personali pur non rinnegando affatto il proprio passato?


ALBE: Argomento delicato e terreno minato. Sopratutto nel mondo metal esiste un insieme di fattori che determina cosa una band in particolare possa fare e cosa un’altra non debba minimamente azzardarsi nemmeno a tentare. Prendiamo gli Ulver: erano un gruppo black passato al folk e poi alla musica elettronica, e sono tutt’ora venerati e ogni lavoro accolto come un qualcosa di geniale. E’ uno status che hanno raggiunto per insieme di fattori X.  I Darkthrone al contrario, anch’essi una band black, ogni volta che cambia sound (crust, epic metal, doom) perde parte di quello zoccolo duro di fan che desidererebbe che perpetrassero continuamente la stessa formula della loro trilogia black. La gente è incomprensibile. Noi riteniamo che si possa assolutamente portare avanti il metal “classico” contaminandolo con le nostre personali influenze. Alla fine, tecnicamente parlando, l’anima di un pezzo è il riff e noi siamo una delle poche band assolutamente riff oriented. Basiamo tutto su un riff vincente, arricchendolo poi con un insieme di “orpelli” che arrivano dal bagaglio musicale di ognuno di noi. Si può fare tutto con la musica… se poi piacerà è un altro discorso.

Non vorrei sembrarvi troppo bacchettone ma il monicker della band mi rimanda all'omonimo romanzo dello scrittore statunitense Robert Lawrence Stine, probabilemnte il secondo scrittore horror americano più letto al mondo, dopo Stephen King, c'è qualche relazione con i personaggi di Duane e della sua migliore amica Stephanie? La villa che è sullo sfondo dell'artwork di copertina mi sembra assomigli molto a quella che io ho immaginato essere la "casa sulla collina" nei quali si svolgono gli avvenimenti del romanzo in questione, sbaglio?

ALBE: ti ringrazio per questa aulica interpretazione ma devo deluderti. Conosco lo scrittore da te citato ma non lo apprezzo particolarmente. Per il personaggio di King Of Pain e per la storia mi sono ispirato a Clive Barker e Bret Easton Ellis.
Per quanto riguarda il nome è nato in sinergia con colui che doveva essere il primo cantante della band, un artista americano molto famoso che poi in realtà si è dimostrato molto meno professionale di quello che ci si aspetterebbe. Io e Aurelio, il co-fondatore della band abbiamo pensato a “Headless Ghost” e l’ex singer ci aggiunse un semplice ma significativo “The”.
La copertina è una citazione da ‘Them’ di King Diamond, uno dei nostri numi tutelari.

Come lasciavo trasparire nella mia piccola recensione, nella musica degli The Headless Ghost si possono sentire reminiscenze musicali che arrivano dagli anni ottanta, ma anche dalla decade successiva, una scelta la vostra anacronistica, vintage o è solo un processo naturale? Quanta convinzione/istintività e quanta determinazione si celano dietro ai solchi di “King of pain”?

AURELIO: I pezzi sono stati scritti in maniera spontanea da me, senza focalizzarmi troppo sul processo di scrittura, più che altro ho cercato di immergermi in atmosfere cupe e sinistre mantenendo un certo approccio diretto con un heavy metal classico, old school, sempre facendo attenzione a non scadere nel banale.

Potrò sbagliare, ma si sente che la band vuole districarsi con forza da paragoni seppur illustri, quanto è difficile filtrare anni ed anni di ascolti cercando di offrire partiture musicali che non risultino scontate? Gli accordi son quelli da sempre, ed in campo classico nessuno inventa niente, o sbaglio?

AURELIO: la band non vuole assolutamente prendere le distanze dalle sue ispirazioni principali anzi noi membri ne andiamo fortemente orgogliosi. Proponiamo un classic heavy metal cercando di non copiare e incollare ma solo far “ricordare“ grandi classici del genere, per esempio in alcun brani puoi sentire influenze dal primo disco dei Maiden in altri qualcosa dei Black Sabbath e dei Judas Priest…

Non avevate timore che un album basato su composizioni alquanto articolate come le vostre, potesse risultare ostico ad un pubblico di musicofili abituati a fagocitare musica mordi e fuggi?

ALBE: se il fatto di suonare tecnici può allontanare ascoltatori superficiali e che considerano la musica un qualcosa di “usa e getta”, allora ne siamo lieti. Non vogliamo che gente ignorante e superficiale si avvicini a noi. Può sembrare arrogante e supponente ma davvero la nostra idea di Musica (con la M maiuscola) è profondamente radicata nel concetto di Arte. E l’Arte resta, ed è profonda. Non esiste arte “passeggera”, quella si chiama moda.
Vorrei giocare il carico e dissuadere ulteriormente gli ascoltatori “casual” dicendo che il prossimo disco sarà molto più complesso e influenzato parimenti dalla musica estrema e da quella progressive.
Chiudo dicendo che non sei un “musicofilo” se fagociti musica mordi e fuggi. Sarebbe come dire che un amante del buon cibo ami  Mc Donalds.

GHIBBI:
La fruibilità non sta tanto alla complessità quanto alla riconoscibilità e alla qualità della musica, il fatto che essa sia “articolata” o meno è un fattore artistico più che commerciale.

In tutto questo quanto peso ha avuto affidarsi nelle mani sapienti di Mattia e dei suoi Elnor Studio? Personalmente credo che, a parte il nuovo Drakkar, il vostro è il miglior album uscito da quelle mura, voi cosa ne pensate?

Simone:
Siamo molto contenti di essere entrati in contatto con Mattia, grazie anche alla mia esperienza personale avuta in precedenza con le produzioni di casa Drakkar, band in cui milito da più di sette anni.
Mattia si è dimostrato ancora una volta determinante per tirare le fila di una produzione energica e sapientemente mixata in base alle esperienze accumulate. Io in particolare mi sono trovato come a casa, così come il resto della band, abbiamo parlato sempre la stessa lingua!
Sono molto grato al lavoro paziente e certosino di Mattia che ha colto l'essenza di questa band e per averla indirizzata ad avere quel sound potente e incisivo che ci serviva per far emergere il nostro potenziale.

Oltre al versante musicale, mi pare di capire che curiate molto anche l'aspetto iconografico e teatrale, perchè come si dice “anche l'occhio vuole la sua parte”, vero?

SIMONE: Per quanto mi riguarda lo spettacolo visivo è parte integrante di uno show, e sicuramente oltre all'attenzione della proposta musicale penso sempre al "come" presentare la musica.
Nel mio caso ho provato ad aggiungere un tocco dark e occulto a quello che vesto abitualmente e devo dire che mi ci trovo molto. Cerco sempre di non strafare perché mi piace anche la naturale disinvoltura di lasciarsi andare, ma avendo una passione per l'iconografia gotica e draconiana, ho scelto drappi e catene, che meglio rappresentano la dannazione di quella parte del mio oscuro interiore da fare uscire.

Nonostante le difficoltà del periodo, quanto è importante stare su un palco per una band navigata come la vostra? Avete la possibilità di esibirvi di sovente nella vostra Milano? Cosa ne pensate di luoghi sacri come lo Slaughter che, nonostante tutto, tiene ancora botta dopo tutti questi anni?

SIMONE: Suonare live è una parte fondamentale della proposta, soprattutto per creare una base solida per farsi conoscere e per creare un legame con tutto il mondo degli addetti ai lavori e dei fan che accorrono alle serate. È anche un banco di prova per sé stessi, dato che sono sempre fautore convinto che si debba creare musica riproducibile anche dal vivo, dove non puoi godere delle comodità dello studio di registrazione. Sono tempi dove è importante anche vedersi di persona in un mare di distanze e di barriere che si creano tra tutti gli individui.
Musicisti e gestori di locali devono stare sul pezzo e farsi trovare pronti e disponibili.
Slaughter club è un faro, come pochi altri, in tal senso!

Cosa ne pensate di una band di assoluto rilievo come i Ghost e dei loro “escamotage” che spingono la loro teatralità al limite del grottesco?

ALBE: devo dire che il mio primo approccio con loro è stato da classico metallaro chiuso e ottuso: “sono commerciali” “non sono metal!”. Poi ci ho pensato bene e sono arrivato a una conclusione molto filosofica: “chi cazzo se ne frega se non sono metal!”. Sono grandiosi, fanno ottima musica e hanno influenze radicate anche nella musica italiana, dal prog anni 70, ai Death SS, ai Goblin. Suonano benissimo, sono professionisti e offrono uno spettacolo grandioso. Cos’altro si potrebbe chiedere? Certo, se volessi vedermi un concerto metal andrei a vedermi Accept o Judas Priest, ma se volessi vedermi un grande show con pezzi orecchiabili e grandi melodie e arrangiamenti formidabili, loro sono il meglio. Per quanto riguarda la teatralità concordo con il loro approccio. Sono perfetti cosi, un pacchetto completo curato furbescamente e intelligentemente sotto ogni punto di vista. Non inventano nulla eh? Anche i “veri cattivoni” del black metal lo fanno per un discorso “commerciale” e artistico. Gente come Abbath sale sul palco con un armatura e face painting perché fa parte del suo personaggio. Non credo vada a fare la spesa cosi. Bisogna sempre contestualizzare tutto e guardarlo in freddo distacco. Anche noi offriamo uno spettacolo completo e sicuramente nel corso degli anni aggiungeremo sempre più elementi teatrali.

STEVEN: Sicuramente i ghost hanno ben compreso l'importanza dell'immagine nella creazione di un prodotto. Anche loro sono in giro da un bel po' e il successo mondiale è arrivato dopo.
Hanno creato un'atmosfera che già band passate hanno fatto con l'intelligenza di introdurre sound contemporanei.

È innegabile non ammettere che certe sonorità vintage, sono ritornate a fare capolino su giornali e magazine di settore, non temete che si possa venire a creare una sorta di rigetto come è già successo con altri generi riportati all'attenzione dell'audience ed ora completamente al tracollo??

OMAR:
Secondo me no, stiamo parlando di sonorità originali, le quali nel corso degli anni hanno dato via poi a sottogeneri e altre correnti, ci sono periodi dove è più "vendibile" un certo sound, a mio avviso qualsiasi genere tu proponga deve avere qualcosa da dire, soprattutto per la nostra scelta musicale è fondamentale avere a 360° la visione chiara di quello che vogliamo dire, sia a livello sonoro che d'immagine, qualsiasi genere tu proponga deve avere delle basi solide, l'ascoltatore sa questo, non importa che tu sia un grande nome o meno, se fai della musica pessima verrai bastonato.

GHIBBI:
Si, è per questo che è importante stare al passo con i tempi e saper pensare fuori dagli schemi. Il fatto di riportare in auge determinate sonorità non significa fare sterili copia e incolla, ne tantomeno mere opere di restauro. Significa dargli nuovo lustro e vigore. Poi è tutto ciclico come ben sai…

Per un ipotetico secondo full lenght cd, credi che avrete ancora modo di sviluppare ulteriormente il vostro versante compositivo?

OMAR:
Il secondo capitolo ci sarà, siamo all'inizio e abbiamo intenzione di proseguire. Riguardo il versante compositivo ci saranno ulteriori sviluppi al processo sonoro mantenendo comunque la matrice originale del nostro sound, stiamo già lavorando bene sul nuovo materiale e ognuno di noi sta portando idee valide al progetto.

E' anche per questo motivo che avete aggiunto di recente un tastierista di ruolo nella line up ufficiale?

ALBE: si! Abbiamo deciso di non auto-castrarci in modo sciocco. Perché porsi dei limiti? Calcola poi che tutte le band che amiamo hanno le tastiere (spesso celate dal vivo dietro il palco perché sai… non fa molto “true”). King Diamond, Death SS, Symphony X, Dream Theater, Ghost, gli stessi Maiden di ‘Seventh Son Of A Seventh Son’. Anche tornando indietro alle nostre influenze maggiormente datate: Rainbow, Malmsteen, Deep Purple.
Calcola poi che noi siamo una band che tratta tematiche orrorifiche e l’atmosfera che può creare un organo Hammond (a esempio) è unica. Ghibbi poi è un giovanissimo talento, polistrumentista, cantante, tastierista e organista incredibile. Non potevamo lasciarcelo scappare… l’avrebbe preso un altra band!

Musica liquida VS cd fisico, come ed in che modo state vivendo l’attuale crisi che da qualche anno attanaglia il mercato discografico?

STEVEN: Come tutte le band teniamo l'occhio vigile nei confronti dei nuovi canali di distribuzione e al fatto che ormai la maggiore visibilità si ottiene sul web. Nonostante questo non ci perdiamo troppo tempo, la maggiore concentrazione la mettiamo nel comporre la nostra musica ed essere soddisfatti del prodotto che stiamo creando.
ALBE: siamo una band così piccola che tutto questo non ci tocca. Certo, fa ridere vedere che il nostro disco solo su YouTube è stato ascoltato da circa 30000 persone. A volte ci penso… cazzo sarebbero stati ipoteticamente 30000 dischi se fossimo stati negli anni 80? Domani mattina non dovrei alzarmi per andare a lavorare.
Per il resto ripeto… non puoi fermare il progresso. Nel bene e nel male. Per fortuna il metal è uno di quei generi di nicchia dove esistono ancora collezionisti e ascoltatori che desiderano toccare con mano la musica.

Ok ragazzi, siamo veramente alla fine, a voi l'ultima parola….

ALBE: vorrei ringraziarti per la tua recensione e per lo spazio che ci hai dato. E’ grazie al vostro supporto che realtà relativamente piccole come le nostre possono vivere. Invitiamo tutti a seguirci sui nostri canali e a venire a supportarci nei nostri concerti!
Per il resto che dire? Siamo una band assolutamente viva, piena di idee e voglia di crescere tecnicamente e artisticamente. Il prossimo disco sarà una sorpresa. Vedrete.

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